Città capoluogo della provincia omonima e comune di circa 70 mila abitanti durante la seconda guerra mondiale, Piacenza, già il 9 settembre 1943, nonostante una significativa resistenza militare, è occupata dall’esercito della Germania nazista.
Gli eventi della lotta partigiana di Liberazione, salvo quelli propri della liberazione della città fra il 25 e il 28 aprile 1945 e alcuni clamorosi colpi di mano partigiani, si svolgono poi prevalentemente nel territorio dei comuni montani e collinari. Però è a Piacenza che viene costituito il CLN provinciale con componenti tutti residenti nella città, e di Piacenza saranno poi anche un buon numero di comandanti delle formazioni partigiane. Ed è a Piacenza, sede degli organi tedeschi e fascisti di repressione nei confronti dei “ribelli” e dei sospettati di antifascismo, che uomini e donne vengono incarcerati e sottoposti a violenti interrogatori, e molti di loro avviati poi alla deportazione nei lager hitleriani o portati al “muro dei fucilati” del cimitero principale della città.
Occupazione tedesca e resistenza militare
Dopo l’annuncio, l’8 settembre 1943, dell’armistizio italiano con gli Alleati, già nella notte un reparto tedesco si avvicina a Piacenza lungo la via Emilia Pavese. Il regio governo Badoglio e i vertici militari non hanno predisposto piani e dato disposizioni precise alle forze armate italiane per fronteggiare gli invasori. Piacenza tuttavia è uno dei pochissimi capoluoghi di provincia in cui, data anche la numerosa presenza di reparti dell’esercito, il Comando militare organizza degli appostamenti a difesa della città. Ma, con la loro superiorità in armamento, le forze germaniche travolgono in poche ore quelle italiane: restano sul terreno 34 militari italiani, 5 civili e decine di feriti (La resistenza militare).
L’occupazione tedesca viene affiancata dalla ricostituzione del regime fascista e delle sue milizie armate, impegnate essenzialmente a reprimere, anche nel sangue, ogni resistenza al nazifascismo (La RSI nel Piacentino).
Dai “vecchi antifascisti” la costituzione del CLN piacentino
Per quanto, durante il ventennio della dittatura mussoliniana, nemmeno il partito comunista fosse riuscito a mantenere sempre attiva a Piacenza una propria rete clandestina di resistenza, con la prima caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, e la riorganizzazione ancora semilegale dei partiti antifascisti in campo nazionale, cominciarono a venire allo scoperto anche nel Piacentino esponenti antifascisti che si erano formati prima del Ventennio (I vecchi antifascisti). Da questi viene raccolto l’appello “alla resistenza e alla lotta”, lanciato il 9 settembre 1943, a fronte della occupazione tedesca, dal Comitato di Liberazione Nazionale unitario subito costituito dai partiti antifascisti a Roma.
Dopo qualche incertezza iniziale e il tempo necessario per conoscersi e superare reciproche diffidenze, nella seconda settimana di ottobre si arriva alla costituzione del CLN piacentino. Ne fanno parte l’avv. Francesco Daveri per la Democrazia Cristiana, Paolo Belizzi per il Partito comunista, il medico Mario Minoia per quello socialista, l’avv. Francesco Cantù per il Partito d’Azione e, quale esperto militare, l’anarchico Emilio Canzi. A questi si collegano altri esponenti antifascisti piacentini, anche di più giovane età, disponibili a contribuire ad azioni di contrasto alla oppressione nazifascista.
Le prime azioni consistono nell’assistenza ai soldati italiani sbandati e ai militari stranieri sfuggiti il 9 settembre dalla prigionia, per evitare loro la cattura e l’internamento in Germania, nella raccolta di armi abbandonate dai militari italiani il 9 settembre, e il loro inoltro ai nuclei di ribelli che si vanno formando sull’Appennino piacentino, nonché nella raccolta di mezzi finanziari per sostenerli. Il CLN costituisce inoltre una propria base organizzativa della Resistenza in montagna, a Peli di Coli, con la collaborazione del parroco locale, don Giovanni Bruschi.
I renitenti al reclutamento fascista nelle formazioni partigiane
Sugli esponenti piacentini della Resistenza, per quanto agiscano in forme clandestine, comincia ad abbattersi, già a partire dal mese di novembre del ‘43, la repressione del ricostituito regime fascista, in particolare tramite il nuovo corpo di polizia militare, la GNR. La base di Peli viene scoperta; a Piacenza Daveri viene condannato a 5 anni di carcere; Canzi è catturato e imprigionato; altri sisalvano dalla cattura trasferendosi lontani dalla città.
La pretesa però del regime fascista di richiamare in servizio gli ex militari sfuggiti alla cattura tedesca e di reclutare i giovani fino alla classe del 1926, per costituire un nuovo esercito da schierare ancora in guerra a fianco delle forze hitleriane, produce il movimento dei renitenti. Anche nel comune di Piacenza, via via centinaia e centinaia dei precettati al servizio militare si sottraggono al reclutamento fascista. Ricercati, inizialmente si limitano ad allontanarsi dalla propria abitazione e a cercare nascondigli in città, ma infine molti di loro raggiungono le formazioni partigiane che si vanno organizzando nel territorio montano della provincia. Il fenomeno si sviluppa particolarmente all’inizio della primavera del 1944 ed è con il fondamentale apporto dei giovani renitenti provenienti dai comuni della pianura che si costituiscono diverse brigate partigiane nelle vallate piacentine. Queste, in seguito si raggrupperanno in tre divisioni, delle quali quella relativa alla Val Trebbia e alla Val Tidone assumerà infine il nome di “Divisione partigiana Piacenza”.
Aderenti e dirigenti del movimento di Liberazione
I dati ufficiali sugli appartenenti alla Resistenza del comune di Piacenza (cfr. Organizzazione e consistenza del movimento partigiano e Identità dei partigiani piacentini) registrano, fra partigiani combattenti, patrioti e benemeriti, 1.012 nati nel comune e 1.420 residenti nel 1946. Tenuto conto che alcuni partigiani hanno stabilito la loro residenza a Piacenza dopo la Liberazione, si può ritenere affidabile il numero di circa 1.350 attivi resistenti. Non si tratta però solamente di un consistente apporto numerico alla lotta di Liberazione perché il comune capoluogo, rispetto agli altri comuni della provincia, vi contribuisce, oltre che con un consistente numero di “vecchi antifascisti”, anche con diversi esponenti del ceto intellettuale: insegnanti, avvocati, medici e studenti. I medici vanno a costituire il servizio sanitario dei combattenti, altri ad assumere ruoli e responsabilità di direzione negli organi politici del movimento e nelle formazioni partigiane. Di Piacenza sono infatti anche i componenti del CLN provinciale che sostituiscono i primi: per la DC, il maestro Emilio Molinari; per i comunisti il rag. Ettore Crovini; per i socialisti l’operaio Luigi Rigolli e, dopo la sua cattura e fucilazione, l’avv. Emilio Piatti; per il Partito d’Azione il prof. Antonino La Rosa e successivamente il dott. Adolfo Clini. Di Piacenza anche diversi comandanti di brigate partigiane, fra cui: nella Divisione Val d’Arda l’artigiano Giuseppe Narducci; nella Divisione Val Nure l’operaio Antonio Cristalli; nella Divisione Piacenza, il dott. Giuseppe Comolli, lo studente universitario Lodovico Muratori e l’ing. Antonio Piacenza, tutti e tre già ufficiali di complemento nel regio esercito italiano, nonché il rag. Enrico Rancati.
Colpi di mano partigiani in città
Gli aderenti alla Resistenza sono naturalmente partecipi dei vari momenti e aspetti della lotta partigiana in provincia di Piacenza, dei suoi successi, quali la liberazione, entro l’estate 1944, dal controllo nazista e fascista di circa il 60% del territorio provinciale (quello dei comuni collinari e montani), e dei momenti drammatici, quali i grandi rastrellamenti delle forze armate nazifasciste, in particolare quello dell’inverno 1944 – 1945, quando la Wehrmacht mette in campo l’intera Divisione “mongolo”–tedesca Turkestan e quasi 300 partigiani perdono la vita.
I partigiani non si scontrano con le forze militari avversarie solo nel territorio dei comuni montani e collinari, ma gruppi di loro, in particolare le “squadre volanti”, scendono ad intercettare, attaccare e catturare automezzi delle forze tedesche e fasciste in transito sulle strade di pianura, in particolare sulla via Emilia, per rifornirsi di armi, munizioni ed altri equipaggiamenti. Verso la fine di luglio del 1944, Giovanni Lazzetti detto “Il Ballonaio” e due suoi compagni, dopo aver catturato un autocarro tedesco sulla via Emilia Pavese, travestitesi anch’essi da soldati tedeschi, entrano nella Caserma S. Anna e si fanno consegnare due mitragliatrici pesanti con due casse di munizioni, nonché una partita di coperte e di scarpe. Un prelievo clamoroso di armi e munizioni è anche quello che all’Arsenale di Piacenza compie, l’11 novembre ‘44, Lino Vescovi, detto “Il Valoroso” con gli uomini della sua squadra.
Il sostegno ai partigiani dei lavoratori dell’Arsenale
Peraltro, all’Arsenale, che ha circa 4.000 dipendenti e la cui direzione dopo il 9 settembre 1943 è passata in mani tedesche, i lavoratori, organizzati da un comitato segreto interno, collaborano sistematicamente con i partigiani, ne concordano i colpi di mano e provvedono anche direttamente a far uscire armi per le formazioni combattenti, tanto che la Divisione Piacenza disporrà infine anche di due cannoni.
Gli operai dell’Arsenale e quelli dell’azienda metalmeccanica privata Massarenti sono anche protagonisti di due scioperi clamorosi, fatti rientrare dalle autorità militari hitleriane con la minaccia della deportazione in Germania (Gli scioperi operai a Piacenza sotto occupazione tedesca). Ne consegue l’adesione di diversi di quegli operai alle formazioni partigiane.
La 38a Brigata SAP e un gappista
A Piacenza inoltre, centinaia di residenti, pur non abbandonando la propria casa e il proprio lavoro per inserirsi in una formazione partigiana della montagna, contribuiscono attivamente alla Resistenza, pure questi a rischio della propria vita. Sono i cosiddetti sappisti, cioè i componenti della Squadre di Azione Patriottica organizzati infine nella 38a Brigata SAP, coordinata da Piero Bettini “Vladimiro”, un impiegato di 29 anni. Ne fanno parte le donne staffette, che costituiscono la preziosa rete informativa del movimento partigiano. Nei giorni precedenti la Liberazione le SAP provvedono fra l’altro a vigilare e impedire che vengano minati e fatti saltare i principali impianti industriali della città, che era nei piani dei Comandi tedeschi.
Fra i caduti partigiani piacentini, 29 appartenevano alla 38a Brigata SAP.
Le dimensioni limitate della città di Piacenza non favorisce invece la formazione di Gruppi di Azione Patriottica (GAP), cioè di quelle piccole unità di 2-5 ardimentosi combattenti che in città come Milano, Torino e Genova compiono attentati devastanti a sedi e luoghi di ritrovo in particolare delle forze militari hitleriane, riparando poi in basi clandestine dentro alla città stessa. Molti di questi ardimentosi finiscono comunque catturati, torturati e uccisi.
Un’azione da gappista in Piacenza è comunque quella tentata, nei confronti del prefetto fascista Rodolfo Graziani, dal vicecomandante della Divisione partigiana Piacenza Alberto Araldi “Paolo”, il 5 febbraio 1945 all’incrocio fa C.so Vittorio Emanuele III e Via S. Giovanni. Tradito da un falso confidente, viene catturato e fucilato.
Può inoltre essere attribuita la qualifica di gappista a Ercole Anguissola, classe 1901, vecchio antifascista comunista, con anni di carcere nel Ventennio, fra i primissimi organizzatori del movimento di Resistenza. A Piacenza fa esplodere una bomba sotto un automezzo blindato della GNR. Anch’egli finisce nelle mani dei nazifascisti che, dopo averlo ucciso, ne fanno addirittura sparire il cadavere.
Deportazioni nei lager e fucilazioni
Se negli anni della guerra la vita è difficile per tutta la popolazione della provincia, particolarmente dura è quella dei residenti in città: razionamento dei generi alimentari al limite della fame, protervia delle diverse milizie fasciste, bombardamenti, corsa ai rifugi antiaerei, sfollamento verso i centri minori e le zone rurali. (Cfr. Vivere a Piacenza sotto l’occupazione tedesca e la Rsi). Drammatica la condizione fra il dicembre 1944 e il marzo 1945, quando Piacenza diventa lo snodo del poderoso rastrellamento della divisione tedesca Turkestan e giungono inoltre qui formazioni militari fasciste provenienti da altre province. I registri del carcere documentano l’ingresso nelle sue celle e in altri locali di supporto di 1.122 persone, fra combattenti partigiani catturati e altri antifascisti, o sospettati tali, prelevati dalle loro abitazioni in città. Ai sommari interrogatori seguono deportazioni in Germania e fucilazioni. Sono 81 gli antifascisti che dal carcere di Piacenza partono per i lager tedeschi, 29 quelli che vi perdono la vita; altri 39 sono inviati al lager di transito di Bolzano. 17 quelli fucilati presso il cimitero di Piacenza (Cfr. Il muro dei fucilati), 15 i prelevati per essere fucilati nell’ambito di due rappresaglie nazifasciste in provincia di Parma e in quella di Reggio Emilia.
Finalmente la Liberazione.
La liberazione di Piacenza, il 28 aprile 1945, da parte dei partigiani giunti dalle vallate piacentine nei pressi della città la sera del giorno 25, e impegnati nei tre giorni seguenti negli ultimi sanguinosi combattimenti (Cfr. 20 - Le Tre Giornate della liberazione di Piacenza), segna dunque la fine di un incubo per la popolazione. Che Il 5 maggio si raduna in una massa festante attorno all’ultima sfilata dei combattenti in armi della Divisione Piacenza, della Divisione Val d’Arda, della Divisione Val Nure e del 38a SAP, lungo il Corso Vittorio Emanuele III e nella Piazza dei Cavalli, dove viene reso omaggio anche al tenente colonnello inglese Alfred Connor Bowman, rappresentante delle forze militari alleate.
Alla città di Piacenza, nel 1949, con decreto dell’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, è stata conferita la Medaglia d’argento al Valor Militare “A riconoscimento del doloroso e intenso impegno dei piacentini durante la lotta di liberazione dalla dittatura nazi-fascista”. Una più completa conoscenza storica del contributo di Piacenza alla lotta di Liberazione ha determinato, nel 1996, la sostituzione di quella con la Medaglia d’Oro, conferita con decreto del Presidente Oscar Luigi Scalfaro.
R. R.
Dati – nominativi – monumenti
Di seguito è indicato il numero dei partigiani del comune di Piacenza e il nome dei caduti. Sono però da considerare dei resistenti al nazifascismo anche i militari piacentini che, catturati dopo l’8 settembre 1943 e internati in Germania – (Cfr. Gli IMI Piacentini) – hanno rifiutato il reclutamento nelle nuove formazioni militari fasciste e subito quindi la dura vita dei forzati al lavoro.
Partigiani del comune di Piacenza: circa 1350
Partigiani caduti, nati e/o residenti a Piacenza: n. 73 (i loro dati personali e le circostanze della morte sono indicati in “Elenco e dati caduti partigiani” di questa enciclopedia; altre informazioni si trovano nel data base di tutti i partigiani “Elenco e dati partigiani piacentini”. I nominativi qui sotto con un asterisco hanno, o avranno, una propria voce nell’enciclopedia):
ANGUISSOLA ERCOLE*, ANSALDI CESARE, BAIO CESARE*, BARBIERI CARLO ALBERTO, BERGAMASCHI IGINO, BERTE’ LUCIANO*, BESSONE PIERO, BOERI RAOUL, BONGIORNI ERNESTO, BOREA DON GIUSEPPE*, BORELLA FRANCESCO, BOROTTI ALFREDO*, BOSELLI FRANCO, BOSI GIANNINO*, BRANDINI PEPPINO, BROGLIO LUIGI*, BRUSCHI ALDO, BUSSOLATI CAMILLO, CARPANI CELLATI ARMANDO, CERRI LUIGI*, CHIESA ALBERTO, CHIOZZA ANGELO, CINCATI GIUSEPPE, CORNELLI PIETRO, CRISTALLI AUGUSTO, CURATI PAOLO, DALLAVALLE PIETRO, DAVERI FRANCESCO*, DELLA RIVA GINO, DONELLI RENATO, FERRARI ANTONIO, FERRI FRANCO, FERRI GIOVANNI, FIORCARI FERDINANDO, FORNAROLI GHILARDO, GARDINI GIUSEPPE, GASPARINI GIORGIO, GATTI CARLO, GATTI RENATO, GHIONI MARIO, GIMNOTI GIUSEPPE, GUERZONI PRIMO, LAMBRINI GIACOMO, LAUDI DINO, LEGGI GINO, LODIGIANI LUIGI, LOVOTTI MARIO, LUPINI GIUSEPE, MAIORCA ADRIANO, MANFRONI FRANCESCO, MANFRONI LUIGI, MARENA UGO, MARTUCCI FULVIO, MASERATI GIULIO, MOIA GIUSEPPE, MOLINARI EUGENIO, MOLINARI GINO, MURATORI GIUSEPPE, NANI VITTORIO, NASTRUCCI GAETANO, PELLINI GIUSEPPE, PELLINI VITTORIO, PEVERI GIOVANNI, PIZZI GIANCARLO, PODESTA’ GIOVANNI, POZZOLI LODOVICO, RACCHINI GIUSEPPE, RESMINI GIULIO, RIGOLLI LUIGI*, SAVI NEREO GIULIO, SOLENGHI LUIGI, SQUARZA CARLO, ZUCCA BRUNO.
Antifascisti deportati in lager hitleriani n. 18, dei quali deceduti n. 7: Daveri Francesco e a Fiorcari Ferdinando (già elencati fra i caduti partigiani), BARBIERI DANTE, BERTOLI GIUSEPPE, COMPIANI VITTORIO, MORISI GAETANO e DARCO LUIGI.
Antifascisti deportati nel campo di Bolzano: n. 12
(Biografie dei deportati si possono leggere in “Rinchiudere un sogno-Da Piacenza ai lager nazisti. Il libro dei deportati politici”, a cura di Carla Antonini, Scritture, Piacenza 2017.)
Ex militari residenti nel comune di Piacenza di cui è noto l’internamento in Germania (IMI): n. 187, dei quali deceduti n. 8 (Elenchi e dati in https://www.internatimilitaripiacentini.it)
Testimonianze della lotta partigiana
A Piacenza, sotto i portici di Palazzo Gotico, lato P.tta dei Mercanti, nel Sacrario Caduti la lapide “GUERRA DI LIBERAZIONE 1943 – 1945” porta i nomi di 129 caduti partigiani piacentini: sono quelli propri del comune di Piacenza, più i caduti provenienti da altri comuni, non solo della provincia di Piacenza, rimasti vittima di combattimenti nell’area del comune di Piacenza, o partigiani e antifascisti incarcerati a Piacenza e poi messi a morte dai nazifascisti.
1 – Caduti nel corso delle Tre giornate della liberazione di Piacenza
- In p.le Velleia una lapide su un muretto ricorda 2 partigiani caduti il 26 aprile 1945: Alberici Carlo, Gatti Renato.
- In p.le Genova, alla destra del liceo “L. Respighi”, un cippo ricorda 5 caduti il 27 aprile 1945: Alberici Giacomo, Anguissola Gian Battista, Gasparini Giorgio, Pierino Guasti, Silva Amedeo.
- In via Emilia Pavese, a lato dell’ex Laboratorio caricamento proiettili, una lapide ricorda 6 caduti il 27 aprile 1945: Barbieri Achille, Dallafiori Domenico, Rossedenti Francesco, Sposini Carlo, Tamoggia Remo, Taschieri Giovanni.
2 – Vittime dei nazifascisti nel corso della Resistenza:
- Chiozza Angelo, vecchio antifascista collaboratore del CLN, assassinato il 25 aprile 1944 all’ingresso dello stabilimento Cementirossi, è ricordato da una lapide posta all’ingresso della palazzina uffici, in Via Diete di Roncaglia.
- Carini Carlo* e Bruschi Osvaldo, fucilati, dopo la cattura, il 1° novembre 1944, sono ricordati da un cippo posto all’incrocio fra via Emila Pavese e Via Veggioletta.
- Luciano Bertè, commissario di brigata, caduto il 10.3.1945, e Cornelli Pietro, caduto il 19 agosto 1944, dipendenti del servizio postale, sono ricordati in una lapide posta nell’atrio d’ingresso delle Poste Centrali.
- Lungo Via Nino Bixio, che costeggia il Po, in un prato sulla destra, un monumento ricorda i 20 partigiani catturati con altri in alta Val Nure all’inizio del gennaio 1945, condotti nelle carceri di Piacenza e successivamente prelevati ed eliminati, le cui salme sono state probabilmente gettate nel Po.
- Borotti Alfredo, militante comunista, impiegato presso la Camera di Commercio, fucilato al cimitero di Piacenza il 21 marzo 1945, è ricordato da una lapide posta lungo lo scalone d’ingresso della Camera di Commercio.
- Francesco Daveri*, morto nel lager di Mauthausen/Gusen il 13 aprile 1945, è ricordato in una lapide nella via dove aveva lo studio di avvocato, che ha preso il suo nome, e da una “pietra d’inciampo” posta all’ingresso del palazzo dove abitava con la famiglia, al civico 83 di Via Garibaldi.
3 – Caduti e fucilati ricordati con specifici elementi di memoria nel Cimitero di Piacenza
- In fondo al Reparto n. 3 è posto il Campetto dei partigiani, che ospita 34 tombe di partigiani, dei quali 18 caduti nel corso della lotta di Liberazione, i cui resti dopo la fine della guerra stati traslati da altre tombe temporanee nel Campeto.
- Sul muro perimetrale del cimitero, a fronte del Campetto dei partigiani, una lapide elenca i 17 partigiani e antifascisti fucilati in tempi diversi presso il cimitero, dalle forze naziste e fasciste, fra cui Araldi Alberto, Repetti Stevani Luigia e don Giuseppe Borea. Il luogo del martirio era un tratto esterno del muro del cimitero, sul lato sinistro rispetto all’ingresso principale, chiamato “Il muro dei fucilati*”
- Su diverse tombe di partigiani caduti durante la Resistenza è ricordata tale partecipazione; la tomba di Giannino Bosi*, Medaglia d’Oro V.M., è caratterizzata da una statua con la sua figura.
4 – I caduti della resistenza militare il 9 settembre 1943
In p.le Genova, una grande lapide sul muro del passato ospedale militare elenca i nomi di 31 militari italiani caduti resistendo alla occupazione tedesca di Piacenza, e dei 5 civili vittime anch’essi quel giorno dei colpi dei militari invasori.
5 – Il monumento ai caduti partigiani eretto a Piacenza nel 1976
Il Dolmen, collocato nello slargo all’incrocio fra Via Vittorio Emanuele III e lo Stradone Farnese, ideato dall’artista piacentino William Xerra e promosso dal sindaco di Piacenza del tempo, che era stato un giovanissimo partigiano, propone un simbolo primitivo del culto dei morti.
