Zerba partigiana

 

Immagine del 2010 dell’abitato di Zerba con panorama

Quello di Zerba è il più piccolo comune piacentino per popolazione (circa 800 abitanti durante gli anni della guerra, solo 67 residenti nel 2025 ma  rianimazione sociale durante le vacanze estive). E’ il penultimo per estensione, con territorio, solcato dal torrente Boreca,  tutto montano, che dalla sinistra del fiume Trebbia sale alle pendici del Monte Lama e al crinale appenninico, sui 1500 m. di altitudine,  dove l’Emilia Romagna confina  per brevi tratti con  tre altre regioni: il Piemonte (provincia di Alessandria),  la Liguria (provincia di Genova), la Lombardia (provincia di Pavia).

Il contributo del comune di Zerba alla Resistenza, più che da aderenti a formazioni partigiane (peraltro 9 dei suoi giovani in servizio militare erano stati deportati in Germania), è dato dagli abitanti che ospitano nelle proprie case i partigiani arrivati da altre zone in cerca di rifugio, dividono con questi le proprie magre risorse alimentari, e rischiano di essere colpiti anch’essi dalle incursioni e dai rastrellamenti delle forze militari nazifasciste, che anche nel comune di Zerba compiono un barbaro eccidio. La popolazione inoltre subisce drammaticamente quei venti mesi di guerra con le 32 vittime  delle bombe sganciate da un aereo alleato sulla frazione di Vesimo.

Nell’alto territorio di Zerba si rifugiano ed organizzano primi gruppi partigiani

Dal mese di ottobre 1943, quando il ricostituito regime fascista comincia a richiamare i soldati italiani sfuggiti alla cattura tedesca e ad emettere bandi di reclutamento di nuove leve, l’impervio territorio dell’alta Val Boreca e i suoi paesi raggiungibili solo da mulattiere vengono individuati quale rifugio e base organizzativa da  gruppi di giovani che hanno scelto al Resistenza, residenti in territori di altri comuni e province confinanti, dove sarebbero più esposti alla cattura. Capannette di Pej in particolare, posta a 1.486 m di altitudine su displuvio fra il territorio di Zerba e quello delle provincie confinanti, e caratterizzato dalla presenza di un albergo collegato ad impianti sciistici, diviene per tutti i mesi della lotta di Liberazione una base fondamentale per diverse formazioni partigiane; la Divisione ligure “Cichero” vi colloca il proprio centro di addestramento delle reclute partigiane; i prati  delle piste sciistiche ricevono i materiali dei lanci aerei degli Alleati.

Già nel dicembre del ’43, fra Capannette di Pej e il pavese Brallo di Pregola, si rifugia  un piccolo gruppo di resistenti, definito poi Banda di Pej o del Brallo, comprendete anche alcuni esponenti di provenienza piacentina. Nella primavera del ’44 questo gruppo si sposta in comune di Bobbio, dove si unisce ai partigiani che si stanno organizzando sotto il comando del già ufficiale dei carabinieri Fausto Cossu; uno dei rifugiati a Pej, Giuseppe Follini Pino, diviene in seguito comandante di una brigata della divisione partigiana di “Fausto”.

Nel maggio 1944, inizialmente sul monte Chiappo  e successivamente fra Bogli, Artana e Capannette di Pej, s’insedia invece il nucleo costitutivo della Brigata partigiana pavese “Arturo Capettini”. Questa ha come comandante Domenico Mezzadra, di Broni, nome di battaglia l’Americano  perché nato negli StatiUniti. In seguito alla grande crescita, durante l’estate, del movimento partigiano, ai primi di agosto nell’Oltrepò pavese si forma un seconda brigata, la “Crespi”, che con la “Capettini” va a costituire la Divisione partigiana di cui assume il comando l’Americano, mentre della “Capettini “diventa comandante  Angelo Aliotta Diego.

La tragedia di Vesimo

Durante il mese di giugno e luglio  1944 le formazioni partigiane sottraggono alla occupazione tedesca e al dominio fascista gran parte dei comuni appenninici. In Val Trebbia sono liberati tutti i comuni da Rivergaro a Torriglia. La vità è sempre molto dura, ma è tornata un po’ di serenità, anche  perché si pensa che la fine della guerra sia prossima.  Cosi il 20 agosto a Vesimo si celebra la festa patronale anche con una serata danzante all’aperto che richiama, oltre che abitanti dei paesi vicini, anche un gruppo di partigiani della Brigata “Capettini” che hanno una loro base al Brallo.

Si viola cosi la regola dell’oscuramento notturno, ma chi potrebbe mai notare quelle fioche emissioni di lucerne a petrolio su un pendio della Val Boreca? Anche i partigiani presenti rassicurano. E il ronzio che verso la mezzanotte proviene dal cielo a tutta prima non allarma.  Un aereo che passa. Ma poi quel piccolo aereo militare si abbassa proprio su Vesimo, poi sembra allontanarsi, ma rièccolo con un rombo assordante sopra l’area della festa. Un grappolo di bombe si abbatte precisamente sulla balera e investe le persone tutt’intorno. Gli effetti sono devastanti: decine di corpi dilaniati e molte decine di feriti. Il conto finale sarà di 32 vite stroncate: nove  ragazze e ragazzi fra i 9 e i 14  anni,  ventitré gli adulti fra i 16 e i 38 anni, di cui 8 donne.  Fra gli adulti tre partigiani e due staffette della “Capettini”.

Si verrà a sapere più avanti  che l’aereo era inglese, uno di quelli che gli Alleati inviavano di notte a sorvegliare il  territorio del Nord Italia per colpire movimenti notturni delle forze tedesche,  ma anche con funzione di guerra psicologica:  tenere costantemente tutti sotto pressione e intimorire i nemici.  E i piloti non stavano tanto a valutare, individuata una luce sganciano il loro carico: missione compiuta! E’ la logica brutale della guerra che era stata scatenata dalla Germania nazista con l’appoggio del regime fascista italiano.

I rastrellamenti antipartigiani e l’eccidio fascista di Cerreto

Passano pochi giorni e arrivano anche tedeschi e fascisti a sconvolgere la vita degli abitanti della val Boreca e a portare morte.

Per recuperare il controllo della Val Trebbia e quindi della strategica Strada statale 45, i comandi militari tedeschi e fascisti, con i battaglioni di una divisione addestra in Germania, la “Monterosa”, e con altri reparti, organizzano infatti un grande rastrellamento che dagli ultimi giorni di agosto investe anche diverse altre vallate del territorio piacentino, pavese, genovese e alessandrino. Gruppi di partigiani, provenienti dall’alessandrino e dal pavese, incalzati dai nemici, cercano la salvezza nell’alta Val Boreca, transitando a Pey, Vesimo, Artana e Tartago. Ad Artana militari italiani e tedeschi sorprendono  nella canonica tre partigiani feriti della Cichero assistiti da due donne e li conducono con sé su slitte trainati da muli; uno dei tre è di nazionalità polacca. A questi viene poi unito un altro partigiano che era stato ferito e catturato mentre con un gruppo di suoi uomini aveva cercato, presso Vesimo, di fermare i rastrellatori: è il comandante della Brigata  pavese “Capettini”, Angelo Aliotta. Viene assicurato dai soldati che i quattro feriti verranno portati in un ospedale e curati, come avevano fatto qualche giorno prima i partigiani della Cichero per alcuni feriti nemici da essi catturati. Sopraggiungono però, saliti dalla Statale 45, dei militi della Brigata Nera di Genova Sampierdarena  e si fanno consegnare i feriti. Ritornano poi verso il fondovalle con i quattro sulle slitte. Ma appena dopo la frazione di Cerreto – come racconteranno le due donne che accompagnavano i feriti  – se ne liberano uccidendoli. Li fanno mettere su uno slargo della strada e scaricano contro di loro mitra e moschetti. E’ il 29 agosto 1944.

Anche durante il secondo, poderoso e sanguinoso rastrellamento, condotto a partire dagli ultimi giorni di dicembre direttamente dall’esercito hitleriano con i reparti della Divisione “mongolo”-tedesca Turkestan, la zona di Pej diventa temporaneamente luogo di rifugio e di salvezza per gruppi partigiani pavesi in fuga dopo un combattimento al Brallo.  Giungono il 12 dicembre ’44 prostrati e affamati. Gli abitanti della zona, pur temendo le vendette degli inseguitori, accolgono questi disperati in fuga, li sfamano, li assistono; sono tanti e ogni famiglia se ne deve prendere a carico diversi.

Intanto, lungo la Statale 45, che dal mese di ottobre era tornata sotto il controllo dei partigiani, i componenti di una brigata ligure,  la “Jori” al comando dell’ex carabiniere Stefano Malatesta “Croce”, fra il 15 e 18 dicembre affrontano un reparto della Turkestan a Ponte Lensino, a Carisasca e a Ponte Organasco,  e ne ritardano la rioccupazione della fondovalle da Marsaglia a Torriglia per il tempo necessario allo sganciamento e alla messa in salvo dei distaccamenti della brigata insediati lungo di essa.

E diversi partigiani, sia della “Capettini” che della “Jori”, trovano rifugio nei paesi e fra gli abitanti del comune di Zerba per diverse settimane di quell’inverno particolarmente  rigido, con tutta la Val Boreca coperta da un alto manto di neve. E’ verso la fine del febbraio ’45  che i partigiani, nel Piacentino, come nel Pavese e nell’Alessandrino-Genovese, riannodano le file e passano all’offensiva finale contro le forze militari tedesche e fasciste.

                                                                                                                                                                                                                 R. R. – M. P.

Bibliografia

  1. Giulio Guderzo, L’altra guerraNeofascisti, tedeschi, partigiani, popolo, in una provincia padana. Pavia , 1943–1945, Il Mulino, 2002
  2. Mirco Dondi, La Resistenza fra unità e conflitto, Bruno Mondadori, 2004
  3. L. Cavanna/R. Repetti, Comandanti partigiani giunti da lontano, Edizioni Pontegobbo, Bobbio 2018
  4. Elisa Malacalza, Volevamo solo ballare – Memorie della strage di Vesimo, Officine Gutenberg, Piacenza 2024
  5. Antonio Testa, Partigiani in Val trebbia, la Brigata Jori, Genova 1980

Partigiani trucidati dai fascisti a Cerreto di Zerba il 29.8.1944

  • Aliotta Angelo “Diego”, n. nel 1905 a Caltagirone (CA), immigrato a Milano, meccanico, antifascista comunista condannato nel 1928 per “propaganda sovversiva”, comandante della Brigata pavese “Capettini”, Medaglia d’Oro V.M. alla memoria.
  • Arzani Virgilio “Chicchirichì”, n. nel 1922 a Genova, residente a Viguzzolo (AL), già sottotenente di fanteria uscito dall’Accademia militare di Modena, si era distinto quale coraggioso combattente partigiano in provincia nella piemontese Val Borbera, dove rimase ferito, appartenente alla Divisione “Cichero”, Medaglia d’Oro V.M. alla memoria
  • Busi Andrea “Silurino”, n. nel 1926 a Casalnoceto (AL), apparteneva alla Divisione partigiana “Cichero”.
  • Mieczyslaw Sasin “Cencio”, il 18.11.1926 in Polonia – Paese occupato dalla Germania nazista all’inizio della Seconda guerra mondiale. Condotto di forza in Italia dall’esercito tedesco era passato fra i partigiani della Divisione Cichero.

 

IMI (Internati Militari Italiani in Germania)

Dei residenti nel comune di Zerba reclutati per il servizio militare nella Seconda guerra mondiale, uno – Paramidani Aldo, cl. 1922 – non tornò più dalla spedizione mussoliniana in Russia e 9 furono catturati dopo l’8 settembre 1943 dalle forze tedesche e deporti in Germania quali IMI; il loro sfruttamento nel lavoro coatto con insuffecente alimentazione ne portò due alla morte:

LOSIO GIUSEPPE, classe 1916, deceduto in Germania il 10.2.1944

LOSIO LUIGI, classe 1919, dopo essere stato restituito all’Italia nell’ottobre 1944 perché gravemente ammalato, è deceduto il 31.7.1945 all’Ospedale militare di Piacenza.

Lapidi e cippi a ricordo delle vittime

  • Cippo nel luogo dell’eccidio di Cerreto
  • Lapide all’esterno del cimitero di Cerreto
  • Monumento a Vesimo e lapide nel locale cimitero